Mercoledì delle ceneri: un tempo di rinnovamento spirituale
Tu ami tutte le creature, Signore,
e nulla disprezzi di ciò che hai creato;
tu dimentichi i peccati di quanti si convertono e li perdoni,
perché tu sei il Signore nostro Dio
(Antifona d’Introito, cfr. Sap 11, 24-25).
Nella sua infinita bontà misericordiosa Dio onnipotente ci dona di poter ripercorrere, di anno in anno, le tappe fondamentali del cammino dell’ascesi cristiana, un cammino di continua penitenza, conversione e rigenerazione. Paradigma essenziale e fondamento formidabile di tale ascesi è appunto il percorso quaresimale, che prende il suo avvio, deciso e sintetico, proprio dal Mercoledì delle ceneri. Un avvio deciso: il pressante invito alla conversione e alla revisione della propria vita cristiana scaturisce proprio dalla liturgia del giorno come qualcosa di a essa intrinseco e da considerare necessariamente. Un avvio sintetico: dai testi e dai contesti liturgici si evince, in una mirabile sintesi, tutto il viaggio dell’anima che appartiene a Dio, un viaggio che dura tutta la vita, ma che è stigmatizzato particolarmente in tutto quello che è e deve essere la Santa Quaresima.
Abbiamo qui un tempo favorevole (Kairos, Tempus acceptabile…), che è palestra della vita dell’anima, che ci prepara, in quaranta giorni, come Cristo nel deserto, “per affrontare vittoriosamente con le armi della penitenza il combattimento contro lo spirito del male” (Colletta del Mercoledì delle ceneri). In questo giorno tutto particolare, nella Chiesa antica, iniziava il cammino di preparazione dei catecumeni in vista del Battesimo, che avrebbero ricevuto nella Veglia pasquale. Erano momenti di altissimo significato mistagogico (nella fede e nei segni sensibili che significano le realtà superne).
I testi eucologici che scorreremo di giorno in giorno da qui a Pasqua ci presenteranno un caleidoscopio avvincente e straordinario, utilissimo per confrontarci di attimo in attimo con la figura e gli ammonimenti di Cristo.
La cenere è stata da sempre (e da tante culture primitive o comunque ancestrali e radicate) ritenuta un elemento di mortificazione e in un certo senso anche di purificazione e di pulizia. Cospargersi il capo di cenere voleva dire proclamare una pubblica penitenza (nell’Antico Testamento – Ninive, Ester… – come pure nella prassi dei primi secoli della Chiesa).
Le ceneri che vengono imposte sul capo dei fedeli in questo giorno particolarmente austero sono ricavate dalla combustione e dal raffinamento delle palme benedette la Domenica delle Palme precedente (è grande il legame di questo gesto con la prefigurazione pasquale, dove ognuno è chiamato a morire a se stesso per risorgere con Cristo).
La palestra dell’anima è figura di quelle rinunce e mortificazioni che sono proprie di chi aspira a qualcosa di più, che va sempre oltre e che, solo, appaga l’uomo nella sua interezza. E questo è Gesù Cristo, che vuole condurci con lui sul Calvario per riportarci a casa, in Paradiso, da risorti come Lui, trasfigurati a sua immagine e innestati nella sua stessa vita di grazia vivificante.
Alle mortificazioni esteriori deve corrispondere quel necessario rinnovamento dell’anima, che ci faccia sentire il fascino della cristiana bellezza e il buon profumo della vita buona derivante dal Vangelo. A nulla serve mortificarsi esteriormente se dentro rimaniamo come prima o forse peggio, immersi nel peccato che da la morte all’anima e la rende serva del demonio e di mille più una passioni ingannevoli e ingannatrici. Cristo ci libera: viene a noi per riportarci a casa, in quel giardino stupendo che la superbia di un uomo aveva chiuso col peccato. Cristo sale sul legno della croce (di cui quell’albero nel giardino terrestre era figura) per riscattare l’uomo e rinnovarlo dal di dentro. Ma vuole anche che quella conversione interiore e convinta venga esplicitata da segni anche esteriori, che ne facciano trasparire tutta la bellezza e l’autenticità più profonda. Siamo chiamati anche qui a un atteggiamento di grande disponibilità al Buon Pastore, che ci viene incontro nei poveri e nelle persone sole, in un contesto umano che vada alla radice dell’essenzialità e non sia solo una facciata che porta lontano e dal fine e dalla verità.
Digiuno e astinenza
“Con il digiuno quaresimale
tu vinci le nostre passioni, elèvi lo spirito,
infondi la forza e doni il premio” (Prefazio della Quaresima IV)
Il Prefazio ci suggerisce bene le finalità che Dio si è proposto di farci raggiungere con questo cammino penitenziale:
1) Vincere le passioni disordinate, tutto ciò che ci allontana da Dio e ci rende schiavi del peccato o della idolatria di noi stessi e degli altri. Vuol dire far prevalere nella nostra vita quella ferma volontà di cercare e seguire il bene, ad esso ordinare tutta l’esistenza e vivere in funzione della libertà ritrovata, che Cristo ci ha acquistato a prezzo del suo Sangue. É vero: questa libertà si conquista col sangue, con una lotta interiore acerbissima (il combattimento spirituale) che si consuma nel segreto. Ma solo al vincitore è promessa la corona di giustizia (Apocalisse).
2) Elevare lo spirito: Cristo riporta l’anima al suo stato meraviglioso e le infonde i doni della sua grazia, in modo tale che l’uomo possa vivere solo per la sua gloria e per la sua attiva santificazione e possa adorare Dio in spirito e verità (cfr. Gv 4).
3) Dio infonde la forza per il combattimento spirituale (che da soli non riusciremmo assolutamente a sostenere) e dona il premio (finale e temporale) nel merito e nella sua misericordia.
Per il mercoledì delle ceneri è previsto il digiuno e l’astensione dalle carni, astensione che la Chiesa ha sempre richiesto per tutti i venerdì dell’anno, ma che negli ultimi decenni si limita ai venerdì del periodo quaresimale. Inizia dunque il tempo della penitenza, delle rinunce e del colore violaceo per la Liturgia Sacra al fine di prepararsi alla Passione e alla Morte del Salvatore, che vinse il peccato e la morte. Difficile per il cattolico contemporaneo vivere seriamente la Quaresima. Si tratta quindi di un atto che educa la volontà e la indirizza verso Dio solo. Un atto che serve a far vedere fuori l’atteggiamento interiore dell’anima, che, svincolata dalle futili attrattive del secolo, deve poter correre senza ostacoli nella via dei comandamenti di Dio (Sal 118).
Il Figlio di Dio digiunò, cacciò le tentazioni di Satana e subì la Passione e la Morte: il digiuno è un arma potentissima per scacciare le tentazioni e orientare tutta l’esistenza alla lode di Dio liberatore.
Cristo stesso ha digiunato: in questo ci manifesta come chiara la necessità di vincere se stessi e rivolgersi (cum-vertere) a Lui. La vita di Cristo per noi è paradigma: deve essere modello in tutto, modello nella vita e modello nella morte; un modello di piena umanità, “con la perfezione di sensibilità della Tua (di Cristo, ndr) umanità senza macchia, splendida di luce” (Via Crucis, T. Alfieri).
Il digiuno quaresimale consiste in un pasto sobrio e due modeste refezioni (se necessario), mentre l’astensione dalle carni non deve dar luogo a sontuosi o ricercati pranzi di frutti di mare (!). La nota caratterizzante di questo periodo deve essere la sobrietà, legata a una buona dose di buon senso.
Possono essere dispensati dal digiuno (per giusta causa) gli ammalati, i bambini e gli anziani (al di sopra dei sessantacinque anni di età), anche se restano comunque tenuti a una certa sobrietà. Per qualsiasi altra dispensa non contemplata in questi criteri appena esposti bisogna rivolgersi all’Ordinario del luogo (o più facilmente al Parroco, al Superiore della casa per quanto riguarda i religiosi). Ma la richiesta deve poter presupporre una valida ragione. Anche qui nessun arbitrio personale.
Insegna Sant’Agostino: «Il cristiano anche negli altri tempi dell’anno deve essere fervoroso nelle preghiere, nei digiuni e nelle elemosine. Tuttavia questo tempo solenne deve stimolare anche coloro che negli altri giorni sono pigri in queste cose. Ma anche quelli che negli altri giorni sono solleciti nel fare queste opere buone, ora le debbono compiere con più fervore. La vita che trascorriamo in questo mondo è il tempo della nostra umiltà ed è simboleggiata da questi giorni nei quali il Cristo Signore, il quale ha sofferto morendo per noi una volta per sempre, sembra che ritorni ogni anno a soffrire. Infatti ciò che è stato fatto una sola volta per sempre, perché la nostra vita si rinnovasse, lo si celebra tutti gli anni per richiamarlo alla memoria. Se pertanto dobbiamo essere umili di cuore con tutta la forza di una pietà assolutamente verace per tutto il tempo di questo nostro pellegrinaggio, durante il quale viviamo in mezzo a tentazioni: quanto più dobbiamo esserlo in questi giorni nei quali non solo, vivendo, stiamo trascorrendo questo tempo della nostra umiltà, ma lo simboleggiamo anche con un’apposita celebrazione? L’umiltà di Cristo ci ha insegnato ad essere umili: nella morte infatti si sottomise ai peccatori; la glorificazione di Cristo glorifica anche noi: con la risurrezione infatti ha preceduto i suoi fedeli. Se noi siamo morti con lui ‒ dice l’Apostolo ‒ vivremo pure con lui; se perseveriamo, regneremo anche insieme con lui (2 Tim. 2, 11. 12)» (Sermoni, 206, 1).