Festa del Corpus Domini – dal diario di don Giuseppe Canovai, Roma, 1923
In occasione della festa del Corpus Domini proponiamo la lettura di una pagina tratta dal diario di don Giuseppe Canovai in cui medita sulla celebrazione e il senso profondo dell’Eucaristia.
“Giuliva, al pensiero del grande dono di Gesù, la Chiesa ripete coi suoi Sacerdoti all’altare “Cibavit eos ex adipe frumenti alleluja et de petra melle saturavit eos alleluja alleluja alleluja“.
Esultate a Dio nostro, aiuto giubilate al Dio di Giacobbe. Così lieta inizia la liturgia di oggi che è di ringraziamento e di gaudio al pensiero del sublime dono che ci ha largito Gesù: se stesso nel Sacramento divino dell’altare, in questo sta tutta la nostra fede, quasi tutta la buona novella, si può restringere in questo: Gesù è con noi. Avanti uomini, non importa se triste è la vita, se dolorosa è la terra, se lungo l’esilio, Gesù è con noi, tutto è gioioso, felice, tutto e consolante e dolcissimo pensando che Gesù è con noi; qualunque siano i nostri dolori qualunque la tristezza nostra, Gesù la condivide con noi , egli vive con noi.
Di questo mistero arcano, essenza e corona del Cristianesimo, celebriamo oggi la festa nell’intimo del nostro contento e la Chiesa ci ripete i grandi avvertimenti di Paolo, le promesse divine di Gesù sul Pane di vita e nella affettuosa sequenza canta la riconoscenza e l’amore. Preannunziato dai secoli dalla voce di Dio che precede nel popolo suo, il suo Eletto, nella sera triste in cui il Figlio dell’uomo doveva essere tradito si compie il grande mistero e la storia della sua Chiesa è la storia dei prodigi che questo pegno divino ha prodotto nel suo seno.
Nell’Eucarestia è presente, è vivente e con la gloria che gode nel Cielo, è intimamente unito con la sua Chiesa, con ciascuno di noi. In essa abbiamo il Sacrificio e abbiamo il Sacramento in Gesù Eucaristico la vittima e il sacerdote, nella Comunione una unione perfetta di amore con il nostro misericordioso Gesù. Ecco di che grande tesoro celebriamo oggi la Festa. Di qui la confidenza e la gioia con cui la Chiesa si rivolge oggi al suo diletto nel pensiero dei grandi doni che in questo Sacramento ha concesso agli uomini. Mirabili nell’animo del giusto gli effetti di questo divino pegno di amore: esso ci porta la vita anzi e’ per noi la Vita. Come il cibo materiale e la vita del nostro corpo l‘Eucarestia è la vita della nostra anima. Ed è promessa di vita eterna: senza questo pane divino non potremmo vivere la vita della grazia, dopo che i Sacramenti ci hanno messo nello stato di grazia cioè ci hanno fatto partecipi della vita soprannaturale della Chiesa e ci hanno posto in unione mistica con Gesù. Se vogliamo che reale ed intensa sia questa vita, proficua e duratura questa unione, se vogliamo viverlo intensamente, interamente, il nostro pensiero cristiano, ecco la fonte della vita dell’anima la fonte della grazia e dell’amore.
L’Eucaristia, essa divino alimento, essa, essa sola può parteciparci la vita. Essa è per noi sorgente infinita di vita, è fortezza è presidio contro la tristezza e contro il male, e soprattutto è mirabile sorgente di gioia. Oh sì, questo deve essere il sentimento che devo particolarmente conservare da questa celebrazione del Corpus Domini. L’Eucarestia è per noi soprattutto gioia, è gioia che intendere non la può chi non la prova. Essa è quella gioia, quella letizia cristiana che il mondo misconosce ed ignora e che pone le sue radici nel compiacimento di Dio per la vita nostra che sappiamo a Lui accetta. (…) la più grande sorgente di letizia per l’anima cristiana è là, in fondo alle nostre Chiese, al mistico silenzio del Tabernacolo.
La è il segreto della nostra gioia, là sentiamo sempre la contentezza di sentirci cristiani perché in ogni istante possiamo ricorrere al nostro divino Maestro e questo ci consola e ci pacifica. Là, perché là troviamo la vita e il presidio alla nostra virtù, il cibo che è alimento alla nostra vita spirituale, la forza per conservarci nei propositi fatti e vivere vita conforme ad essi, il che è la prima sorgente della gioia. Essa infine è il rimedio alle malattie dell’anima nostra, è il più potente rimedio alla tristezza, la medicina più salutare. Possiamo perdere la nostra letizia non solo per motivi spirituali, ma ancora per ragioni materiali; siamo d’anima e di corpo e talora il secondo non manca d’influire sul primo specialmente per difficoltà, per preoccupazioni, per dispiaceri, si può perdere quella tranquillità d’animo che è condizione indispensabile alla vita spirituale, non tranquillità nel senso di vita riparata e chiusa, come nel silenzio di una badia, ma tranquillità nell’intimo sacrario del nostro spirito, quella serenità quella placidezza che è condizione indispensabile di raccoglimento e di equilibrio e che il cristiano deve anzi saper conservare anche tra le attività più rumorose. Per quelle ragioni dunque possiamo perdere la nostra pace e a chi ricorreremo allora?
Ecco, al Tabernacolo. Ecco la divina scuola della tranquillità e della pace. Ricorriamo a Lui, a Lui che ha parole di vita eterna, che è maestro del sacrificio e del dolore, Egli che nel sacrificio e nel dolore ci ha redenti ci dirà la parola della pace. Venite ad me omnes qui fatigatis et laboratis estis et ego reficiam vos. Egli ci rifarà, in una comunione spirituale, ci rifarà ci ricreerà nuovamente sotto l’alito potente della sua grazia ci rialzeremo dal suo altare rifatti. (…)”