Natus est Dominus: la Santa Messa dell’Aurora
Quando già si sono spenti i festosi clamori della Messa di mezzanotte e le porte della chiesa sono state rinserrate, quando le navate si fanno d’un tratto buie e solo resistono poche tremolanti candele sull’altare maggiore, un piccolo manipolo di cuori indomiti resta, come i pastori, per adorare il Dio bambino appena nato.
Da diversi anni, è ormai divenuta consuetudine per i membri dell’Opera Familia Christi trattenersi fino al mattino del giorno memoriale del Natale del Signore per assistere alla seconda Messa, la Messa dell’Aurora: tutti raccolti intorno all’altare del sacrificio, fra i banchi in presbiterio, trasformati per l’occasione in coro, si dispongono per la celebrazione più intima e forse più familiare dell’anno.
D’un tratto, dal buio, procede il sacerdote e la luce vera irrompe nel recinto sacro per illuminare ciascuno di noi, le nostre offerte, i nostri propositi: “Lux fulgebat hodie super nos, qui natus est Dominus!”. Ed il cuore finalmente si quieta dinanzi a quel portento, dinanzi a quella visione magnifica del Bambino nella mangiatoia, fra la beatissima Vergine e san Giuseppe, quasi che il centro del mondo e della storia potesse plasticamente trasferirsi nell’anima di ciascuno, quasi che per quel tempo e quello spazio della celebrazione l’uomo potesse comprendere ed essere rapito dall’eternità di Dio.
“Andiamo fino a Betlemme, vediamo quest’avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere”. In quel timido brulicare di faville, in quel silenzio benedetto e vibrante, si ripresentano all’anima devota fatti e circostanze della storia universale, come quando quell’avvenimento fu fatto misteriosamente conoscere all’imperatore Augusto quella stessa notte, ovvero come quando, non molti secoli dopo e per molto tempo ancora, i Pontefici, insieme al popolo romano, s’incamminavano processionalmente nella notte per andare a celebrare la Messa dell’Aurora a sant’Anastasia, quando ancora la nostra città riconosceva d’avere un Re da adorare ed un pastore da seguire.
Ma nel mistero che viene celebrato sull’altare, anche ogni attimo della nostra vita si scioglie misticamente nell’oggi eterno di Dio ed ogni nostra umana vicenda s’illumina della luce radiosa che promana da quell’avvenimento, della luce che splende sulla grotta di Betlemme, nella quale Iddio fattosi uomo per la nostra salvezza si offre a noi per essere adorato, per essere amato da ciascuno di noi.
E quando quello stesso Dio si offre a noi Eucaristia, il cuore si scioglie di tenerezza: si fa più vivo il ricordo della nostra fanciullezza, quando per la prima volta Gli dichiarammo il nostro amore, si fa più terso il ricordo della nostra giovinezza, quando Gli promettemmo che l’avremmo servito per tutta la vita. In quella superna pace, l’anima sospesa fra terra e Cielo può lodare il Signore con quei pastori della prima ora: “Questi poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”.
Quante cose possono udirsi in quella notte e quante vedersi, quando chiamati dall’angelo ci affrettiamo alla mangiatoia per tornare al nostro Salvatore, per offrirGli le primizie dell’anno che inizia, dell’anima che si converte, del cuore si dà e si ridà: in quel primo mistero di luce, la fede si rinfranca e si fa più forte, poiché tutta questa divina letizia è caparra di ciò che sarà.