La Messa del giorno di Natale: di Dom Prosper Guéranger
Il mistero che la Chiesa onora in questa terza Messa è la nascita eterna del Figlio di Dio nel seno del Padre suo. Essa ha celebrato, a mezzanotte, il Dio-Uomo che nasceva dal seno della Vergine in una stalla; all’aurora, il divino Bambino che nasceva nel cuore dei pastori; le rimane da contemplare ora una nascita molto più meravigliosa delle altre due, una nascita la cui luce abbaglia gli sguardi degli Angeli, e che è essa stessa la testimonianza eterna della sublime fecondità del nostro Dio. Il Figlio di Maria è anche il Figlio di Dio; il nostro dovere è proclamare oggi la gloria di questa ineffabile generazione che lo produce consustanziale al Padre, Dio da Dio, Luce da Luce. Eleviamo dunque i nostri sguardi fino al Verbo eterno che era al principio con Dio, e senza il quale Dio non è mai stato; perché egli è la forma della sua sostanza e lo splendore della sua eterna verità.
La santa Chiesa apre i canti del terzo Sacrificio con l’acclamazione al neonato Re, ne celebra il potente principato che egli detiene, in quanto Dio, prima di ogni tempo, e che riceverà, come uomo, per mezzo della Croce che un giorno deve gravare sulle sue spalle. Egli è l’Angelo del gran Consiglio, cioè l’inviato dal ciclo, per compiere il sublime disegno concepito dalla gloriosa Trinità, di salvare l’uomo mediante l’Incarnazione e la Redenzione. In questo augusto consiglio il Verbo ha avuto la sua divina parte; e la sua dedizione alla gloria del Padre, unita all’amore per gli uomini, gliene ha fatto assumere l’incarico.
Un bambino ci è nato, un Figlio ci è stato dato; egli porta sulle sue spalle il segno del suo principato, e sarà chiamato l’Angelo del gran Consiglio.
EPISTOLA (Ebr 1,1-12). – Dopo aver molte volte e in molte guise, anticamente, parlato ai padri per i profeti, in questi ultimi tempi Dio ci ha parlato per il Figliolo che Egli ha costituito erede di tutte quante le cose, per mezzo del quale fece anche i secoli. Il Figlio, essendo lo splendore della gloria, l’immagine della sostanza di Dio e tutto sostenendo con la parola sua potente, dopo averci purificati dai peccati, siede alla destra della Maestà divina nel più alto dei cieli, tanto più sublime degli Angeli, quanto è più eccellente del loro il nome che egli ebbe in retaggio. Infatti a quale degli Angeli disse mai Dio: Tu sei il mio Figliolo: oggi io ti ho generato? E di nuovo: Io gli sarò Padre, ed egli mi sarà Figlio? E ancora, quando introduce il Primogenito nel mondo, dice: E lo adorino tutti gli Angeli di Dio. Mentre invece parlando degli Angeli, dice: Egli fa suoi Angeli gli spiriti e suoi ministri i fuochi fiammanti. Ma il Figlio dice: Il tuo trono o Dio, è nei secoli dei secoli; scettro d’equità è lo scettro del tuo regno; tu hai amato la giustizia ed hai odiato l’iniquità: per questo, o Dio, il tuo Dio ti ha unto con olio di esultazione al di sopra dei tuoi consorti. E tu in principio, o Signore, fondasti la terra, e opera delle tue mani sono i cieli. Essi periranno, ma tu durerai e tutti invecchieranno come un vestito; li cambierai come un mantello e saranno mutati; ma tu rimani sempre lo stesso e gli anni tuoi non verranno meno.
Il grande Apostolo, in questo magnifico inizio della sua Epistola agli antichi fratelli della Sinagoga, mette in risalto la nascita eterna dell’Emmanuele. Mentre i nostri occhi sono teneramente fissi sul dolce Bambino del Presepio, egli ci invita ad alzarli fino alla Luce suprema, nel cui seno lo stesso Verbo che si degna di abitare la stalla di Betlemme sente l’eterno Padre che gli dice: Tu sei il mio Figliuolo, oggi ti ho generato; e questo oggi è il giorno della eternità, giorno senza sera né mattino, senza alba e senza tramonto. Se la natura umana che egli si degna di assumere nel tempo lo pone al disotto degli Angeli, la sua elevazione al disopra di essi è infinita per il titolo e la qualità di Figlio di Dio che gli appartengono per essenza. Egli è Dio, è il Signore, e nessun mutamento lo può toccare. Avvolto in fasce, appeso alla croce, morente nelle ambasce, secondo l’umanità, rimane impassibile e immortale nella sua divinità; perché ha una nascita eterna.
VANGELO (Gv 1,1-14). – In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Questo era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nessuna delle cose create è stata fatta. In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. E la luce splende fra le tenebre ma le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone, per attestare della luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma venne per rendere testimonianza alla luce. Era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. Era nel mondo e il mondo fu creato per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne in casa sua ed i suoi non lo ricevettero. Ma a quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede il diritto di diventare figli di Dio; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini ma da Dio sono nati. (Qui si genuflette) E IL VERBO SI È FATTO CARNE ED ABITÒ FRA NOI e noi abbiamo contemplata la sua gloria: gloria come d’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità.
Figlio eterno di Dio, davanti alla mangiatoia in cui ti degni di manifestarti oggi per amore nostro, noi confessiamo, nella più umile adorazione, la tua eternità, la tua onnipotenza, la tua divinità. Tu eri al principio, eri in Dio, ed eri tu stesso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo tuo, e noi siamo l’opera delle tue mani. O Luce infinita, o Sole di giustizia, noi non siamo che tenebre: illuminaci! Troppo a lungo abbiamo amato le tenebre, e non ti abbiamo compreso; perdonaci il nostro errore. Troppo a lungo hai bussato alla porta del nostro cuore, e non ti abbiamo aperto. Oggi almeno, grazie ai meravigliosi accorgimenti del tuo amore, ti abbiamo ricevuto; chi potrebbe infatti non riceverti, o divino Bambino, così dolce e cosi pieno di tenerezza? Ma rimani in noi; porta a compimento quella nuova nascita che hai preso in noi. Non vogliamo più essere né dal sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio, con te e in te. Tu ti sei fatto carne, o Verbo eterno, affinché fossimo noi stessi divinizzati. Sostieni la nostra debole natura che si sente venire meno davanti a così alto destino. Tu nasci dal Padre, nasci da Maria, e nasci nei nostri cuori; tre volte gloria a te per questa triplice nascita, o Figlio di Dio così misericordioso nella tua divinità, così divino nel tuo abbassamento!
Il grande giorno ha, terminato il suo corso, e si avvicina la notte durante la quale il sonno verrà a ristorare le sante fatiche che ci hanno causato le veglie della gloriosa Natività. Prima di andare a riposare, mandiamo un pio e religioso ricordo ai santi Martiri di cui la Chiesa ha rinnovato la memoria in questo giorno nel Martirologio. Diocleziano e i suoi colleghi nell’impero avevano appena pubblicato il famoso editto di persecuzione che dichiarava alla Chiesa la più sanguinosa guerra che essa abbia mai subita. L’editto affisso a Nicomedia, residenza dell’imperatore, era stato strappato da un cristiano che pagò tale atto di santa audacia con un glorioso martirio. I fedeli pronti alla lotta osarono sfidare la potenza imperiale, continuando a frequentare la loro chiesa condannata alla demolizione. Si era giunti al giorno di Natale. Essi si raccolsero in numero di parecchie migliaia nel sacro tempio per celebrarvi un’ultima volta la Nascita del Redentore. A quella notizia, Diocleziano inviò uno dei suoi ufficiali con l’ordine di chiudere le porte della chiesa, e di appiccare ai quattro angoli dell’edificio il fuoco che doveva distruggerla. Quando tutto fu disposto, squilli di tromba si udirono sotto le finestre della basilica, e i fedeli intesero la voce del banditore che annunciava, da parte dell’imperatore che quelli i quali volevano aver salva la vita potevano uscire, condizione di offrire l’incenso sull’altare di Giove eretto davanti alla porta della chiesa; diversamente, sarebbero stati tutti preda delle fiamme. Un cristiano rispose a nome della pia assemblea: “Siamo tutti cristiani; onoriamo Cristo come unico Dio e unico Re, e siamo pronti a sacrificargli la nostra vita in questo giorno”. A tale risposta i soldati ricevettero l’ordine di appiccare il fuoco. In pochi istanti la chiesa fu un immenso rogo, le cui fiamme salivano verso il cielo, inviando in olocausto al Figlio di Dio, che si era degnato in quel giorno di iniziare una vita umana, l’offerta generosa di quelle migliaia di vite che rendevano testimonianza alla sua venuta in questo mondo. Così fu glorificato, nell’anno 303, a Nicomedia, l’Emmanuele disceso dal cielo per abitare fra gli uomini. Uniamo, con la santa Chiesa l’omaggio dei nostri voti a quello di questi coraggiosi cristiani la cui memoria si conserverà, attraverso la sacra Liturgia, sino alla fine dei secoli.
Rivolgiamo ancora una volta i nostri pensieri e i nostri cuori alla fortunata stalla dove Maria e Giuseppe formarono l’augusta compagnia del divino Bambino. Adoriamo ancora il Neonato e chiediamogli la sua benedizione. San Bonaventura esprime, con una tenerezza degna della sua anima serafica, nelle sue Meditazioni sulla vita di Gesù Cristo, i sentimenti del cristiano chiamato presso la culla di Gesù che nasce: “E anche tu – egli dice – che hai tanto indugiato, piega il ginocchio, adora il Signore Dio tuo, venera la Madre sua e saluta con riverenza il santo vegliardo Giuseppe; quindi, bacia i piedi del Bambino Gesù, che giace nella mangiatoia, e prega la santa Vergine di dartelo o di permettere che tu lo prenda. Prendilo fra le braccia, stringilo e considera bene il suo amabile volto; bacialo con riverenza, e gioisci con lui. Questo puoi farlo, perché è verso i peccatori che egli è venuto, per recare la salvezza; e ha umilmente conversato con essi e infine si è dato in cibo. La sua benignità si lascerà pazientemente toccare, come tu vuoi, e non attribuirà ciò alla presunzione, ma all’amore”.
Preghiamo
(Terza Messa durante il giorno). Concedici, Dio onnipotente, che la nuova Nascita del tuo Unigenito nel mondo ci liberi dall’antica schiavitù che ci tiene sotto il giogo del peccato.
da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – I. Avvento – Natale – Quaresima – Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 133-137